Tappa 05 - Una finestra verso Coldelce, Serra di Genga e Fontecorniale
Se le ninfe, a differenza delle muse, sono in particolare le divinità della natura, in tutta la valle del Foglia, ed anche a Coldelce, la loro presenza è ancora oggi molto intensa. Il silenzio dominante, l’arcaicità del luogo, ne fanno una meta privilegiata.
Lo stesso nome deriva da “Collis Illicis”, “Colle d’Elce”, per rimandare la presenza del Leccio (Quercus ilex). In realtà oggi a prevalere sono i rimboschimenti di conifere, insieme a piante autoctone come la Roverella,l’Olmo campestre, il Carpino Nero.
Anche qui anticamente esiste un castello, posto su un poggio tra le pendici del Monte Busseto, il fosso di Coldelce e il Fosso di Monteviole. Ora non rimane nulla degli antichi splendori ma resta la Pieve di S. Eracliano (Eracliano vescovo pesarese), oggi semidistrutta e abbandonata.
La gente del posto ricorda che fino a 30 anni fa' vi si facevano "famose" vie Crucis; la parrocchia era il luogo di raccolta dei fedeli che vivevano in tutto il territorio di Coldelce.
Anche Serra di Genga doveva essere un centro abitato. Nel 1400 Genga ha un nucleo fortificato sopra la collina dominante e un borgo ai piedi dell’altura, detto Valle. E’ un’antica “Villa” che ha il suo castello più in basso, arroccato su uno strapiombo aggettante nel fosso. La denominazione di “Serra” si riferisce ad un crinale allungato, in questo caso collinare, mentre “Genga” è un toponimo che rimanda alla presenza di marna o argilla. Quello che rimane son radi lacerti: pezzi di coppi, piccolissime muraglie a strapiombo sui fossi. Legato certamente alla Pieve di San Tommaso.
Questo è un terreno di scontri fra le truppe malatestiane e quelle montefeltresche. Nel 1433 gli Sforza si scontrano per il dominio delle terre. Nell’estate del 1446 Montefabbri, Colbordolo e Talacchio devono cedere all’assedio malatestiano. Nell’ottobre successivo gli Sforza, riprendendosi, alleati ai Montefeltro, mettono a ferro e fuoco Monteluro, Pozzo, e Tomba (Tavullia). L’esercito degli Sforza è accampato sotto Serra di Genga e non certo con benefici effetti visto che si trattava di mercenari. Lo sconquasso è grande e la gente emigra dai vari castelli circostanti per andare nelle città.
Fra questi: Sante di Peruzzolo da Colbordolo, nonno di Raffello. Piero di Andrea da Genga, nonno di Girolamo Genga. E’ curioso che due grandi maestri del Rinascimento sono originari delle terre di Colbordolo. Fra Genga e Ripe nella Valle c’è la casa di chi diede corpo alle fonti delle ninfe, ai muri, ai ninfei, alle ruine, ai dipinti murali, ai giardini e alle selve. Girolamo Genga compagno di ventura di Raffello da Urbino e Giulio Romano: i precursori di un’ architettura che diventò quella delle ville rinascimentali e barocche e che dà corpo alle architetture dei poemi che da Ariosto, Boiardo e Tasso si alimentano l’un con l’altro.
Nel 1548, nella valle sottostante il castello di Genga vi si stabilisce Girolamo Genga. Ormai privo di impegni ufficiali e al termine della sua vita artistica ufficiale, trascorre gli ultimi anni nella quiete di una sua Villa (Vasari ne Le Vite, scrive che “Essendo tornato da Mantova già vecchio, se n’andò a stare a una sua villa nel territorio di Urbino, detta Valle, per riposarsi e godersi le sue fatiche … Nel qual luogo stando l’animo riposato, oppresso da una terribile febbre, rivevuti ch’egli ebbe tutti i sacramenti … con infinito dolore della moglie e de suoi figliuoli, finì il corso di sua vita nel 1551 a lì 11 luglio, di età d’anni settantacinque in circa …”. La casa - come tutti i terreni - è posta sotto il territorio del castello di Ripe ma a ridosso del castello e territorio di Genga.
Questa terra è lo sfondo delle imprese dei briganti, come la Banda Grossi. Terre scoscese, inerpicate, boscose; ricche di punti di avvistamento, nascondigli, ripari. Terra di povera gente.